Verso la fine del 1800 don Gabriele Camisani, parroco di Pedergnaga, decise di trovare un modo per dare lavoro ai molti disoccupati che popolavano il paese. Fece costruire una fornace per la cottura di mattoni e laterizi, dando sostentamento alle famiglie per gran parte dell’anno, da aprile a metà ottobre. Per arrivare alle fornace bastava seguire la strada sterrata che si trova di fronte al cimitero e superare la santella dedicata a San Giovanni, sosta di devozione per i lavoratori.
IL LAVORO
I manovali scavavano la “tèra lena”, l’argilla, fino a quando il ghiaccio lo consentiva, e la ammassavano nei dintorni della fornace. Ancora oggi la campagna dove sorgeva l’impianto presenta una leggera depressione, dovuta a tutta l’argilla che è stata prelevata.
Trascorso l’inverno, si iniziava la produzione dei mattoni che venivano lasciati essiccare nell’aia.
Dopo averne prodotti una grande quantità, di solito tra aprile e maggio, si accendeva il forno con un rito particolarmente sentito e intenso per tutta la comunità: il rito del fuoco.
Il parroco, seguito da una piccola processione, si dirigeva verso la fornace per benedire i forni e i fornasì (fornaciai) con l’acqua santa. Dopodiché, un bambino, simbolo di purezza e prosperità, prendeva una fiaccola e incendiava una catasta di legna, accendendo un fuoco che sarebbe stato mantenuto vivo ininterrottamente dal fochista fino alla fine di ottobre.
I mattonai venivano retribuiti in base al numero di laterizi che passavano il controllo qualità, prima di essere cotti.
Il fochista, oltre a essere responsabile del mantenimento del fuoco, si occupava della perfetta cottura dei manufatti.
Il saldo era erogato solo quando tutto il materiale prodotto in quell’anno trovava collocazione.
La fornash fu chiusa attorno agli anni ‘70, perchè far arrivare terra argillosa a San Paolo aveva ormai un costo considerevole che incideva troppo sul prezzo del prodotto finale.
Fu demolita negli anni ‘90 ma è stata per anni un monumento di archeologia industriale, che i fornasì ricordano con molta nostalgia.
A costoro, oltre ad aver tolto un simbolo, cancellarono pure il ricordo del tempo passato all’ombra di quel gigante, con le mani ed il corpo sempre inzaccherati dalla rossa argilla, con le fronti madide di sudore, arrostiti dal sole e dal calore del forno.
CURIOSITÀ
Negli anni ‘90 il fornaciaio in pensione Giovanni Piovani ebbe il desiderio di riproporre ai giovani il suo antico mestiere e produsse egli stesso i mattoni per la costruzione della propria abitazione.
Si fece portare da una cava il materiale argilloso e costruì, con l’aiuto del figlio Riccardo, una centrifuga per impastare l’argilla. Recuperò alcune vecchie sagome e ne costruì di nuove in legno e in ferro.
Per il forno scavò un pozzo nel terreno e sopra vi costruì una copertura a forma d’igloo, con un’altezza di circa due metri. Arrivò il giorno dell’accensione e della cottura dei pezzi: settantadue ore di fuoco continuo, senza alcun momento di riposo!
Spenta la fiamma e trascorso un giorno per il raffreddamento, recuperò i mattoni ormai finiti.
Giovanni, con immensa soddisfazione personale, riuscì a costruire la sua casa.